Angela.

Quando il cinema vuol raccontare la Sicilia e la mafia utilizza spesso storie epiche con molti cadaveri. Con “Angela – una storia vera” Roberta Torre si distingue ancora una volta ma in modo diverso e meno forzatamente plateale rispetto ai suoi film precedenti (Tano da morire, Sud Side Story): in questo caso si “limita” infatti a raccontare una storia vera proprio come precisa il sottotitolo del film stesso. Con risultati tutt’altro che limitati.

Nel noto mercato rionale Ballarò di Palermo, Angela – moglie del boss Saro Parlagreco – gestisce insieme al marito il suo negozio di scarpe e droga. Le due merci vengono vendute con la stessa disinvoltura, come a dire che quando in certi meccanismi ci nasci, ti ci muovi dentro con tutta la naturalezza di chi non conosce (e forse neppure immagina) altri modi di vivere. Tutto fila finché nel menage familiare subentra il giovane Masino, in veste di compare fidato di Saro.

Angela se ne innamora e finisce con il tradire il consorte e soprattutto il codice d’onore della sua famiglia. Per questo resterà sola, con un marito in galera che non vorrà più vederla e un amante in fuga che non potrà tornare a riprenderla come promesso. “Angela – una storia vera” è un film fatto più di sussurri che di grida, a dispetto di quelle, numerosissime, del mercato Ballarò. Un film di sguardi, di sottigliezze, di espressioni, di occhi. Dove il malessere serpeggia e viene fuori poco a poco attraverso il cambiamento di Angela (una bravissima e intensa Donatella Finocchiaro), la sua insofferenza, il suo desiderio di “qualcosa di diverso” che Angela cerca persino di confidare al marito prima dell’arrivo di Masino. Quasi “un avvertimento” per dirla alla mafiosa.

Nel finale appeso e amaro del film c’è poi metaforicamente tutto il melodramma di una Sicilia che neppure quando lo vuole riesce a cambiare. Roberta Torre ce lo fa sentire sulla pelle: un “brava” lo merita davvero.

By Luisa Scarlata