Hard Candy.

Chi ha avuto il piacere (a dire il vero perverso) di aver visto Funny Games, il capolavoro thriller di Michael Haneke del 1997 (e non il suo stesso remake del 2007 non ancora uscito nelle sale italiane), noterà con uno e più brividi qualche somiglianza con Hard Candy, ammirevole lavoro del 2005 di David Slade, consigliato esclusivamente a chi è in grado di reggere i nervi tesi per almeno 103 minuti consecutivi.

Con sole due location e due protagonisti principali, Slade è infatti in grado di inchiodarti allo schermo con una storia e un crescendo di accadimenti ad altissima tensione per reggere i quali ci vuole davvero il fisico. La trama ci fa già immaginare (ma Slade va ben oltre l’immaginazione; vedere per credere) il perché: Hayley è una ragazzina 14enne molto molto sveglia, Jeff il fotografo trentenne che si diletta a chattare per settimane con lei, immaginandola come una sprovveduta creatura.

I due si incontrano e dopo una breve tappa a un caffè si recano nella tana del lupo, ovvero a casa di lui. Fine del relax. Hayley, bel faccino e felpa con cappuccio rosso, non è lì per caso ma per adempiere ad una precisa missione: vendicarsi (in nome di un’altra piccola vittima) del trentenne pedofilo attraverso un’infinita serie di diaboliche torture psicologiche e fisiche che, al di là dello schermo, sembriamo subire anche noi innocenti spettatori (applauso, prego).

Formidabili gli interpreti, in special modo Ellen Page, mix conturbante di candore estetico e sconvolgente efferatezza; lodevole la tecnica di svolgimento del film che lascia chi guarda sempre nel dubbio del “cosa succederà adesso”, ovvero nello stato mentale poco invidiabile della “vittima” Jeff, mettendo in atto così un processo di immedesimazione nella storia che fa il successo della pellicola: per 2 ore siamo tutti nella mani di Hayley, ne siamo terrorizzati ma sappiamo che ha ragione lei. Se avete voglia di una bella scossa, affidatevi ad Hard Candy. Altro che caramelle.

Luisa Scarlata