Il Divo.

Guardando “Il Divo” è impossibile non pensare a che effetto ha potuto fare lì a Cannes, con i sottotitoli, questo film. “Vittorio Sbardella also known as The Shark”. Una specie di “Carlito’s Way” o di “Bronx”, per gli stranieri. Ma qui non si parla di storie di fantasia. Si parla di noi, anche se con fantasia. Che non vuol dire che non si racconta il vero. Tutt’altro. Lo stesso Sorrentino lo ha detto in un’intervista: “Il mio film era volutamente grottesco, esagerato. Sono rimasto stupito quando in molti mi hanno detto che invece lo hanno vissuto in modo totalmente realistico”. Già.

“Il Divo” è però in un certo senso un film che ci ricorda l’America. Ed è un complimento. Curatissimo, a partire dai titoli di testa con una grafica straordinaria. Come eccellenti sono la fotografia e la regia, le luci e il cast, le scelte musicali. L’high profile della confezione è assolutamente poco italiano; quanto al contenuto, invece, non c’è dubbio: siamo proprio nel nostro Paese. “Il Divo” è un film eccezionale perché riesce a raccontare i fatti di casa (e di cosa) nostra senza cadere nella trappola dell’incomprensibile per gli altri. Niente “voi non potete capire”, insomma. Tutti capiscono. E applaudono.

“Il Divo” è un film che racconta il Potere. Di una persona, di una vera e propria “banda”, di un sistema, di più sistemi. E lo fa in un modo originalissimo, teatrale, a tratti surreale. Anche se tutto rimane sempre molto vero. Come i mal di testa di Andreotti, le mani nervose, la gobba sulla quale si sta alla fine così comodi, le orecchie piegate per non sentire. Le accuse, “le infamie”, i processi.

Sorrentino non tralascia di sottolineare il ruolo della chiesa. Nella vita privata di Andreotti. Ma anche in quella politica. Il Potere ha lunghi tentacoli. E difficilmente viene del tutto sconfitto. Come leggiamo alla fine, le accuse ci sono, le condanne pure. E’ la pena che manca. Quella del Divo, mica la nostra.

Luisa Scarlata