Onora il padre e la madre.

Ancora una volta la famiglia è al centro di questa stagione cinematografica emblema, in piccolo, di una società ormai irrimediabilmente malata e priva di principi. Figuriamoci di comandamenti. Due fratelli, due vite disordinate e fallimentari, una soluzione apparentemente facile: derubare la gioielleria dei genitori con la coscienza pulita perché tanto poi l’assicurazione li ripaga (ma chi li avrebbe comunque risarciti per la paura, la preoccupazione, il dispiacere?).

Tutto ovviamente va a rotoli e in quasi due ore di pellicola ci scappano parecchi morti e la famiglia viene dimezzata. In Onora il padre e la madre, la ricetta di Sidney Lumet è esplosiva: c’è una bella idea, c’è sorpresa, c’è suspance, vendetta e un amaro finale. Il cast funziona – Philip Seymour Hoffman è perfetto nei panni di un Andy che persino nella sua fisicità suscita un senso di “separazione” in chi lo guarda – alcuni dettagli sono metafore superlative (una per tutti quando Andy, in preda alla rabbia per il tradimento della moglie Gina – una Marisa Tomei in splendida forma – rovescia una coppa di pietre su un tavolo: un gesto di furia repressa che è un concentrato della sua personalità disturbata).

Eppure, in Onora il padre e la madre qualcosa che manca c’è ed è una certa innovazione nella seppur sapiente regia. La tecnica del flashback su ogni personaggio per rivedere ogni volta l’azione dal punto di vista di ogni soggetto (tra l’altro perché quella sorta di “elettroshock” sull’immagine tutte le volte che ci si addentra nel particolare sulla storia di ognuno? Ce n’era davvero bisogno?) è ormai obsoleta e ci rimanda troppo con il pensiero a quando Tarantino, nell’ormai lontano 1994, ci ammaliò con essa in Pulp Fiction. Di sicuro però, al di là di questo, resta di grande livello l’abilità di Lumet nel tracciare le personalità e l’anima dei suoi personaggi. Flashback o no è questo il cuore del film. Un applauso, ci vuole comunque. Con onore.

Luisa Scarlata